Le attività fisiche che risultano relativamente leggere in condizioni climatiche favorevoli, diventano molto faticose nei primi giorni di caldo primaverile.
I primi allenamenti di preparazione precampionato per sport praticati in climi caldi, causano spesso colpi di calore, perché il meccanismo di termoregolazione non si è ancora ben adattato alla duplice sfida dell’esercizio e del clima caldo.
Ripetute esposizioni al clima caldo, associato a migliorare capacità d’esercizio, riducono il disagio alle successive esposizioni.
Il termine acclimatazione al caldo descrive l’insieme di adattamenti fisiologici che ne migliorano la tolleranza.
Dati di uno studio dei primi anni ’60 mostrano che la maggior acclimatazione si ha durante la prima settimana di esposizione nel periodo successivo.
Il processo richiede solo 2-4 ore al giorno di esposizione al caldo.
Le prime sedute di allenamento con esercizi di bassa intensità fisica non devono superare i 15-20 minuti.
Successivamente, si può aumentare la durata e il carico degli allenamenti.
Una buona acclimatazione richiede un’adeguata idratazione.
Durante gli esercizi, una notevole quantità di sangue perfonde il sistema venoso cutaneo, trasferendo il calore dal centro alla periferia del corpo.
Anche una più efficace gittata cardiaca aiuta a stabilizzare la pressione sanguigna durante l’esercizio.
Una abbassamento della soglia di sudorazione è complementare a questi “adattamenti circolatori”.
Conseguentemente, il raffreddamento inizia prima che la temperatura interna si incrementi sensibilmente.
La capacità di sudorazione, il più significativo fattore per l’acclimatazione al caldo, si incrementa inizialmente e quasi raddoppia dopo dieci giorni di esposizione al caldo;
il sudore diventa anche più diluito (minor perdita di sale) e si distribuisce meglio sulla superficie cutanea.
Simultaneamente, con l’acclimatazione si riduce anche la perdita di sodio dai reni.
Gli adattamenti circolatori e il raffreddamento evaporativo rendono possibile nelle persone acclimatate l’esecuzione di esercizi con una temperatura cutanea e centrale inferiore e con una minor frequenza cardiaca.
Una minor temperatura interna d’esercizio richiede una minore perfusione della cute, rendendo in tal modo disponibile una più ampia percentuale della gittata cardiaca destinata all’attività muscolare.
L’acclimatazione riduce anche il consumo dei carboidrati durante l’esercizio, una risposta coerente anche con la riduzione dell’adrenalina plasmatica.
I principali benefici dell’acclimatazione vengono a scemare nel giro di 2-3 settimane dopo il ritorno in ambienti con clima più temperato.
Tratto da “Fisiologia applicata allo sport”, Autore: McArdle